Affermerà poi, citando lo sterminio degli ebrei e degli zingari e di innumerevoli altri innocenti, ricordando i 67.000 prigionieri italiani in Unione Sovietica, dei quali sono ritornati solo 11.000, le detenzioni in Africa, in India:
…Questo, e ovviamente non solo questo, ha inevitabilmente ridimensionato nel cuore degli ex I.M.I. le prime valutazioni fatte della propria vicenda… ce ne sono state di ben più tragiche, purtroppo. Ma pur non essendo stata la più dura, essa rimane non di meno un capitolo molto triste da iscrivere nella storia contemporanea. Una vicenda da non dimenticare non per sollecitare o rinfocolare l’odio, sia chiaro, ma per fare umanamente comprendere, a chi dall’esperienza altrui vuole imparare qualcosa, i guai che possono nascere dall’intolleranza, dal fanatismo e dalla smodata demagogia. Speriamo bene…
Modeste parole non dissimili a quelle che Giorgio Perlasca pronunciò a commento della sua incredibile vicenda. E anche la storia di Vialli, come quella di Perlasca, fu ignorata per tanti anni, come del resto successe anche a quella di Alessandro Natta, catturato a Cefalonia e prigioniero anche lui a Sandbostel. Natta solo negli anni ‘80 riuscì a pubblicare il suo bellissimo libro sullo stesso argomento: “L’altra resistenza”. Il giornalista Enrico Deaglio, in un articolo su Repubblica commenta: …quante storie si possono ancora raccontare; quanto poco sappiamo della nostra storia, di quella che hanno vissuto i nostri genitori e i nostri nonni. È veramente uno strano luogo l’Italia, sospesa in una memoria non memoria…
Noi figli, incontrando negli anni dopo la sua scomparsa, colleghi e soprattutto ex studenti di nostro padre, abbiamo con gioia imparato a conoscerlo ancora più a fondo attraverso i loro ricordi.
La sua attività presentava essenzialmente tre aspetti strettamente legati tra loro: uno museologico, iniziato a Milano con la ricostruzione del Museo Civico, completamente bombardato durante la guerra, e continuato a Bologna, uno di ricerca scientifica pura che lo ha sempre appassionato, e uno di carattere puramente didattico. …Vialli, fino a che lo hanno sorretto le forze, ha sempre insegnato con piacere, con impegno e con passione. Aveva facilità di parola, proprietà di linguaggio. Come nello scrivere era estremamente chiaro nell’esporre, in questo aiutato dalla sua particolare capacità di disegnare. Era capace di trovare frasi semplici ed efficaci ed esempi e paragoni a volta divertenti, sì da rendere con immediatezza comprensibili i concetti. Ne nasceva, nel corso dell’esposizione, un equilibrio tra il momento di concentrazione e di massimo impegno per l’uditorio e il momento di rilassamento mentale, con il risultato di non rendere mai “pesante” la lezione e quindi sempre “digeribili” gli argomenti. Tutto ciò era facilitato dal suo atteggiamento, mai imperioso, ma bensì cordiale, sorridente. Vialli conosceva l’arte dell’insegnare, era istintivamente un attore nel momento della lezione. C’è un rapporto tra l’attività didattica e quella museologica di Vialli. In entrambi i casi c’era il gusto di far apprendere, c’era il desiderio di porgere agli altri le proprie conoscenze, c’era lo sforzo di divulgare la scienza. Ecco perché Vialli era perfettamente consapevole che l’insegnare ha come finalità prima non tanto la verifica delle conoscenze da parte del docente, quanto l’apprendimento da parte dello studente. Il comportamento di Vialli didatta era tale quindi da creare un felice rapporto con gli studenti; rapporto che impegnava fra l’altro gli allievi (almeno i più sensibili) a non deludere negli studi il professore; rapporto felice dovuto anche al fatto che Vialli, come tutte le persone ricche di umanità, aveva simpatia per i giovani e quindi per gli studenti… (Samuele Sartoni, Ricordo di Vittorio Vialli, 1983)
Ricordiamo con tenerezza che lui, da buon naturalista molto amante degli animali, portava spesso a lezione e anche agli esami la sua amatissima Alice, bassottina nero focata che serviva a creare un’atmosfera rilassata e familiare.
Un’altra testimonianza di un ex studente ora professore: …Credo che tutti coloro che hanno vissuto, studiato e lavorato nell’Istituto di Geologia e Paleontologia di Bologna dal 1970 al 1980 debbano molto, ma veramente molto a Vialli Direttore: per aver lasciato esprimere a ognuno le sue idee e le sue potenzialità di ricercatore, per non aver formato un suo clan, per non aver incoraggiato, anzi appianato dispute e contese personali e di gruppi, per non aver mai umiliato la dignità di qualcuno, dal collega al bidello, per aver sempre lasciato un dialogo aperto con gli studenti… Se qui rimpiango per primo l’uomo è per sottolineare da allievo di fronte a parenti, amici e colleghi più anziani, la più vera lezione che sento di aver ricevuto sul piano dell’etica professionale e dell’etica senza aggettivi… (Franco Ricci Lucchi, settembre 1983)
E per concludere citiamo un’altra frase che un suo collega alla sua scomparsa scrisse:
…E per comprendere di più Vittorio Vialli è necessario rispondere a una domanda: perché ha scelto la prigionia? Perché coscientemente ha scelto la fame, gli stenti, il freddo, le malattie, il pericolo di morte? Perché ha accettato di subire i soprusi, le prepotenze, le angherie. Perché continuare a resistere pur di fronte alla morte dei cari compagni di prigionia, stroncati da quella vita infernale? È lo stesso Vialli che risponde a questi interrogativi.
Egli ci ha lasciato scritto: “è una questione di dignità umana”. Forse questo è uno degli aspetti meno intuiti della personalità di Vialli; probabilmente perché nascosto dal suo sorriso e dal suo comportamento cordiale; probabilmente perché, secondo un comune cliché, il “dignitoso” si sposa solo con il “serioso”. In Vialli invece il senso della dignità era fortissimo ed egli lo ha largamente dimostrato. E guai a toccarlo nella sua dignità; in tal caso chi non aveva capito il suo temperamento si trovava inaspettatamente di fronte a una persona rigida, non conciliante, talvolta aggressiva. Non si doveva mai interpretare la sua disponibilità verso il prossimo come rinunciataria accondiscendenza.
Questa umana dignità di cui Vialli parla è la chiave che ci permette di conoscere gran parte della sua personalità. Dignità umana è rispetto verso se stessi; da qui discende, per coerenza, quel rispetto verso il prossimo che portava Vialli a vestirsi nei panni del prossimo stesso, a viverne sentimenti e situazioni e quindi a essere comprensivo e generoso, oltre che corretto e leale. Io non ricordo, in più di vent’anni passati accanto a lui un episodio, un momento di prevaricazione o di prepotenza verso il prossimo. E ciò è, fra tutte, la cosa più importante… (Samuele Sartoni, Ricordo di Vittorio Vialli, maggio 1983)
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ho visto il documentario “Ho scelto la prigionia ” e ho ritrovato quanto scritto da mio padre ,il capitano Mario Secchi, catturato dopo l’8 settembre.si è comportato da eroe come Vittorio Vialli.
Gradirei mettermi in contatto con i figli
aspetto una cortese risposta. grazie
Simonetta Secchi
Viale Montegrappa 24
42121 Reggio Emilia
tei 3356915679
Salve Simonetta, scusa se il messaggio non ha ricevuto risposta ma ci sono stati tanti messaggi di spam che hanno invaso il sito, ho passato i suoi contatti ai figli di Vialli, grazie, Marco
Chiedo scusa poiché ho inviato lo seggio messaggio due volte ma non capivo come il tutto funzionasse.
Grazie
Simonetta Secchi