la cattura
L’avventura tedesca di Leo Melandri ebbe inizio dopo l’8 settembre 43 a Bologna, quando una mattina davanti al portone della caserma Parisio , in via Toscana, si presentò un carro armato tedesco con il cannone puntato.
Leo Melandri non era al fronte, trascorreva la guerra a Bologna in quanto una legge vietava che molti maschi di una stessa famiglia andassero in combattimento.
A Bologna Leo faceva l’istruttore di guida sui carri armati e lavorava in ufficio. Era anche stato mandato in piazza Maggiore contro gli scioperi e le dimostrazioni, ed in un’occasione il plotone aveva sparato in aria per disperdere i dimostranti.
I carristi della caserma si trovavano prigionieri, quella notte molti tentarono di uscire dal retro ma il trambusto mise in allarme i tedeschi che preclusero la via di fuga.
Il giorno successivo furono tutti portati nella caserma in viale Panzacchi in attesa del trasferimento.
Proprio quel giorno la sua giovane moglie Giulia era venuta a Bologna, con un viaggio avventuroso, e riuscì ad incontrarlo. Gli lasciò la grossa pagnotta che gli aveva portato.
Leo si ritrovò quindi sul treno stipato di prigionieri, in viaggio verso il confine.
Nell’ultima carrozza del convoglio c’erano i tedeschi con la mitragliatrice, pronti a sparare contro coloro che si buttavano dal treno. I militari italiani stavano a turno sul predellino dello sportello, pronti a lanciarsi se avessero visto una scarpata erbosa od un fiume. Molti fecero una fine orribile o falciati dalla mitraglia o sotto le ruote del treno. Mio padre non ebbe occasione di saltare nei 10 minuti del suo turno.
Dopo giorni di viaggio, nei quali potè almeno consumare quel pezzo di pane, arrivarono nel nord della Germania. Scesi dal treno fu loro ordinato di raccogliere le zolle di terra in un campo, e si avviarono a piedi verso il campo di concentramento. La terra serviva per pavimentare il cortile.
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Traduttore e falegname
Non sappiamo quanto tempo restò al campo, probabilmente non molto perché quello era un luogo di smistamento, da lì si veniva spediti in fabbrica od in miniera, tutti lavori pericolosi e mal nutriti.
In poco tempo Leo riuscì ad apprendere qualche parola di tedesco, tanto che veniva chiamato in ufficio per fare da interprete tra i nuovi prigionieri italiani arrivati ed i soldati tedeschi. Contrariamente a molti prigionieri lui non si era lasciato prendere dallo sconforto, e quella mattina – racconta – era andato dal barbiere. I prigionieri furono fatti schierare nel cortile e mostrati a civili tedeschi. Un contadino cercava un bottaio e Leo, che aveva lavorato anche in falegnameria, si fece avanti. Il suo aspetto pulito e la sua bassa statura dovettero piacere al grosso Arnold, che lo scelse tra altri e se lo portò a casa.
La vita nel lager e poi in famiglia
Iniziò così una nuova esperienza per Leo, che dormiva in baracca in un piccolo lager ma lavorava e mangiava in famiglia.
Era finito in un piccolo borgo agricolo a 5 chilometri dal confine con l’Olanda, di nome Uelsen. Dovette studiare di nuovo perché lì molti parlavano una lingua di confine, quel tedesco-olandese detto Plattdeutsch.
Leo venne messo in una piccola stanza dove con attrezzi da falegname doveva tagliare le doghe ed i coperchi di piccole botticelle di legno e poi assemblarle, esse servivano per contenere il burro. Il prigioniero che era stato lì prima di lui era molto bravo, ma presto Leo riuscì a superarlo nel numero di botticelle fabbricate.
Quando la famiglia lo richiedeva Leo andava nel campo a dare una mano. A tavola c’era sempre cibo sufficiente. La famiglia era composta da quattro persone: il grosso Arnold, la moglie Giovanna e due bambine, Bernardine e Dorette.
Arnold era un contadino dai modi grossolani, la moglie invece veniva dalla città, dopo una delusione amorosa la famiglia le aveva scelto il marito in campagna. Lei era gentile e lavava anche i panni del prigioniero. In poco tempo Leo fece amicizia con quella famiglia.
Un giorno arrivò un aereo e cominciò a mitragliare, Arnold perse la testa ed invece di ripararsi corse e si scontrò più volte col muro della casa.
La casa aveva i muri con pietra a vista rossi come tutte quelle del nord, il tetto a punta e le tendine alla finestra, sul retro l’officina, l’orto e lo stagno. A fianco della porta d’ingresso una scritta diceva Arnold Niehoff, bottaio.
Il lager
Dentro la baracca si dormiva in letti a castello. Naturalmente occorreva rispettare disciplina e buone maniere. I tedeschi non ammettevano furto o sporcizia, non era questione di prigionia ma di mantenere la dignità di uomini. Il capo baracca era stato mandato via perché aveva infranto le regole. Leo fu fatto capo-camerata ed i compagni lo prendevano in giro per la sua bassa statura. Oltre alla disciplina era suo compito acquistare la botte di birra alla quale tutti potevano attingere lasciando sul piattino le monete del pagamento. Molti dormivano in baracca perché lavoravano nelle case o negozi del paese.
Uelsen
Il paese emerge dalla campagna grazie alla grossa chiesa ed al campanile. Di fronte alla chiesa si trova il vecchio municipio, vicino al cimitero un vecchio mulino a pale in pietra. Un ombroso sacrario vicino al mulino ricorda i caduti delle due grandi guerre. Sulla lapide la frase: “i sopravvissuti per ammonimento”.
Durante la guerra c’erano sicuramente alcune birrerie ed un negozio di orologiaio dove lavorava un prigioniero italiano. Nel 1971 ho potuto vedere la strada principale selciata con i ciottoli, che Leo e gli altri soldati erano stati inviati a costruire.
La campagna circostante è composta da campi e prati, poi di basse colline e ciuffi di alberi, dai quali allora spuntavano le canne dei carri armati mimetizzati. Verso l’Olanda c’erano grandi campi di erica. Da lì si poteva osservare in lontananza la partenza dei razzi V2 diretti su Londra.
I contadini (Bover)
Nel ricordo di Leo essi non vivevano bene la fine della guerra, raccontavano che gli olandesi facevano puntate in Germania per razziare e vendicarsi dei torti subiti in passato. In un’occasione un tedesco che era esploso in una esclamazione di rabbia era stato ucciso con una raffica di mitra.
La sera Leo andava a trovare i contadini poiché aveva libertà di movimento, essi lo pregavano di ascoltare Radio Londra in tedesco e di raccontare ciò che era stato detto. Era quello l’unico modo per conoscere come andava la guerra, le notizie sgradevoli venivano censurate. Avevano bisogno della spiegazione perché il loro grado di cultura non permetteva di comprendere il tedesco veloce di una emittente radio.
La vita in famiglia
Dopo qualche tempo Leo restò a dormire in casa, alloggiava nello spazio angusto sotto il tetto. Era diventato della famiglia, ma era pur sempre un lavoratore straniero e lo stato tedesco era inflessibile: un giorno arrivarono i finanzieri e multarono Arnold che non aveva fatto i versamenti di legge per il suo dipendente Leo!
Ogni tanto arrivava posta dall’Italia e qualche pacco di viveri. Leo cercava di far capire di non avere bisogno, ma i suoi codici inventati non erano concordati né capiti. C’era anche la censura che cancellava le frasi. In una lettera ad un amico Leo chiese quanti del paese erano andati dalla Moda. Moda era il nome del guardiano del cimitero, così apprese i nomi dei caduti.
L’arrivo del fronte
Era avvenuto lo sbarco in Normandia, tutti sapevano che la guerra si stava avvicinando, tra le truppe tedesche iniziò un indaffararsi. I prigionieri venivano prelevati e mandati a scavare le trincee.
Questo lavoro avveniva anche in Italia sulla linea gotica, dove i tedeschi assumevano lavoratori tramite la Tod.
Melandri dovette andare a scavare le trincee ma aspettava l’occasione per fuggire. Il lavoro al fronte poteva essere pericoloso e con la Germania che si stava sfaldando conveniva non stare a contatto con l’esercito.
Anche fuggire in molti non era consigliabile, un grosso gruppo di sbandati sarebbe stato facilmente notato; Leo aveva il problema che i prigionieri italiani volevano fuggire con lui. Finalmente un giorno si ritrovarono in due soli su una strada: si erano sganciati. Venne loro incontro un bambino in bicicletta, i parenti lo avevano mandato per avvisarli che in fondo a quella strada c’erano le SS.
Leo racconta che c’era differenza tra SS e soldati, e le SS non erano ben viste anche dalla popolazione civile.
Non sappiamo quanto tempo sia durata la fuga, i due andavano a piedi e qualche volta si fermavano dai contadini. Il fronte si avvicinava. Un giorno erano ospiti di un contadino in cambio di lavoro, erano a tavola quando arrivarono le cannonate. I due italiani si offrirono di mettere al sicuro le mucche ed uscirono all’aperto. Furono raggiunti da un tank inglese che iniziò a sparare con la mitragliatrice. Il suo compagno ebbe paura e fu subito colpito al ventre. Leo cercava di sfuggire alle raffiche rotolandosi sul terreno, vedeva arrivare la scia delle pallottole che colpivano il terreno e rotolava oltre quella striscia. Finalmente fu colpito alla schiena, non potendo muoversi restò sdraiato a guardare il soldato sul carro che ricaricava tranquillamente l’arma e prendeva la mira. Pensò solo: sono morto. La scia delle pallottole arrivò fino alla sua testa e lui si finse morto, la fronte bagnata di sangue. Soddisfatto, il tank si allontanò.
Dopo poco giunse il contadino che caricò i due corpi sulla carriola e li portò nella stalla. Anche dopo 20 anni Leo conservava i segni delle schegge sulla fronte.
Fu poi portato all’ospedale e medicato. La pallottola aveva rotto l’ultima vertebra della colonna, si rischiava la cancrena e la paralisi. Il giovane dottorino non aveva medicine adatte, mancava perfino la pennicillina. Il padre del dottore, che era professore in un altro ospedale, andò a vederlo e gli consigliò di curare Leo con dei bagni nell’acqua fredda.
Per un mese Leo veniva sollevato ed immerso in una vasca d’acqua, ed il metodo si rivelò efficace.
Nel frattempo la Germania si era arresa, gli italiani circolavano liberamente. Un giorno si presentarono alcuni che cercavano un italiano: Leo lo conosceva e li informò che purtroppo era morto. Meglio così, dissero quelli, eravamo venuti per ucciderlo.
Una notazione interessante riguarda la suora-infermiera dell’ospedale. Poiché molti uomini non erano tornati a casa dalla guerra ed i campi avevano bisogno di forza lavoro, ella proponeva agli italiani di sposare una vedova tedesca, in tal modo avrebbero acquisito la proprietà della terra ed un lavoro sicuro. Leo rifiutò la proposta perché a casa aveva la moglie ed una figlia che lo attendevano.
Il ritorno
Leo fu presto in grado di stare in piedi . Andò a salutare i conoscenti di Uelsen e fu imbarcato su di un treno ospedale diretto in Italia. Anche questo fu un viaggio lungo e travagliato, al Brennero incrociarono un treno carico di tedeschi, anche loro tornavano a casa.
In Italia trovarono il paese distrutto e l’inflazione alle stelle. Per salutarsi, i compagni di viaggio misero insieme le lire rimaste ed andarono in osteria a farsi una bella bevuta.
L’ultimo tratto Leo lo fece a piedi, e chi lo conosceva anticipò in paese la notizia del suo ritorno.
Finalmente poté riabbracciare la moglie e la figlia Domenica, che erano stare profughe al passaggio del fronte sul Senio, e trovò la casa semidistrutta.
I luoghi della storia
Uelsen è un piccolo paese nel nord della Germania, a cinque chilometri dal confine olandese. Dista da Bologna circa 1.400 chilometri. Si trova nel Land Niedersachsen (Bassa Sassonia). Il capoluogo di provincia è a Bentheim dove si può visitare un bel castello. La città più vicina è Norton, a 10 Km., la più grossa nelle vicinanze è Lingen. Il campo di concentramento si trovava probabilmente a Meppen.
Il periodo storico va dall’8 settembre 1943 al 1945/1946.
Fusignano, provincia di Ravenna, 5.000 abitanti, paese della Romagna sulla via San Vitale verso Ravenna, si trova vicino a Lugo.
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